L’esecutivo è al lavoro per trovare una misura che prenda il posto della quota 100 alla sua scadenza a fine anno e possa garantire una flessibilità in uscita anche per chi si pensiona a partire dal 1 gennaio 2022. Ma la riforma in atto preoccupa i lavoratori, come preoccupano, anche, le parole delle dal premier, Mario Draghi al riguardo.
Con la riforma si rischia il sistema contributivo?
Le esatte parole del premier Mario Draghi sono state “l’obiettivo è il ritorno al contributivo, la scatola all’interno della quale tante cose si possono aggiustare”.
Il presidente del Consiglio, quindi, non parla di abbandono per sempre del sistema retributivo ma parla di riportare il sistema previdenziale all’interno di un “rage” sostenibile. L’impianto previdenziale italiano, infatti, ha subito una interruzione con l’introduzione della quota 100 poiché il costo per questa misura è stato troppo alto.
Draghi parla di “ritorno al contributivo” ma se ci riflettiamo bene non c’è mai stato un sistema contributivo vero e proprio (sono pochi i lavoratori che ricadono interamente in quel sistema di calcolo) e di fatto quello che si intendeva con quella frase non era affatto di abbandonare il sistema di calcolo retributivo per passare definitivamente a quello contributivo.
Questo {{passaggio avverrà nel tempo}} quando non esisteranno più lavoratori che ricadano, anche in minima parte, nel sistema di calcolo misto (ovvero quando tutti i lavoratori in attività avranno iniziato a lavorare a partire dal 1996 o successivamente).
Ma allora cosa intendeva realmente Mario Draghi con la frase che da molti è stata equivocata? Un ritorno alla legge Fornero, al contributivo della legge Fornero per la precisione (quello che esisteva prima della quota 100, per intenderci) che garantisce l’equilibrio del sistema previdenziale. In questo ritorno, in ogni caso, è previsto un periodo di transizione rappresentato dalla quota 102, che premetterà ancora una flessibilità in uscita ma più contenuta rispetto alla quota 100.
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