Per preservare l’ordine sociale, economico e finanziario, il Partito-Stato cinese ha messo nel mirino le criptovalute. Dopo aver proibito severamente il mining (che, in sostanza, consiste nell’estrazione delle valute virtuali con sistemi informatici altamente sofisticata), la People’s Bank of China ha vietato tutti gli scambi e le transazioni in criptomonete.
Questo perché nel corso degli ultimi anni hanno avuto una larga diffusione, stravolgendo l’ordine finanziario ed economico, favorendo il riciclaggio del gioco d’azzardo, della raccolta di fondi a scopi illeciti, gli schemi piramidali, il riciclaggio di denaro sporco e ulteriori attività condannabili. In tal modo – si legge nella nota di venerdì 24 settembre, di cui vi avevamo già parlato – è stata posta a serio repentaglio l’incolumità delle persone e, nello specifico, dei loro patrimoni.
Criptovalute: la crociata della People’s Bank of China
La Banca centrale di Pechino ha, in particolare, puntato il dito contro Bitcoin ed Ethereum, ovvero le cryptocurrency più popolari, ora messe nella black-list dallo Stato asiatico. L’ennesimo intervento volto a ricondurre la legalità nel Far West dell’iniziativa privata giunge, secondo il Corriere della Sera, mentre Pechino si appresta a lanciare il suo yuan digitale: in parecchie città della terra dei dragoni sarebbero già in corso test di pagamento con il meccanismo elaborato.
Xi Jinping desidererebbe diventare il primo leader su scala planetaria in grado di imporre ai suoi cittadini l’utilizzo della moneta statale virtuale emessa dalla Banca centrale. La presentazione dello yuan digitale sarebbe già fissata a febbraio, durante le Olimpiadi invernali di Pechino 2022. Il Comitato organizzatore avrebbe comunicato che agli atleti ospitati nei tre villaggi dedicati, nei pressi della capitale, verranno distribuiti dei gadget tecnologi capaci di spendere “e-cny”, vale a dire la criptovaluta dello Stato.
La grande manovra attuata dalle autorità locali
Stando sempre a quel che si apprende nel servizio del CorSera, istituire la valuta digitale nazionale e porre un veto sulle cryptocurrecy rientrerebbe in una grande manovra attuata dalle autorità locali per ostracizzare ogni spregiudicato tentativo di intraprendenza innovativa delle varie AliBaba, WeChat e Tencent, cioè i colossi finanziari privati, basati sui pagamenti mediante lo smartphone. In buona sostanza, il fine perseguito è ristabilire il monopolio statale nei pagamenti e nella circolazione del denaro per non perdere il ruolo di attore protagonista nell’economia globale.
La Cina sarebbe adeguatamente attrezzata ad accogliere la novità. Difatti, qualsiasi generazione, persino gli anziani in campagna, ricorrono ai loro dispositivi hi-tech per le piccole spese quotidiane. Lo scopo di Pechino è riprendere in mano il mercato. La partita va ben oltre la semplice sfida ai singoli operatori: Xi Jinping punterebbe a rimettere in riga l’intero comparto tecnologico, onde evitare di cedere le redini della finanza nazionale.
La regolamentazione ha seguito ritmi velocissimi negli ultimi mesi, contraddistinti da vincoli posti sulle aziende attive nei social media e nell’e-commerce. Certe azioni vanno a toccare questioni di attualità pure in Occidente, ad esempio l’uso dei big data dei clienti. Il Partito comunista ha punito a suon di multe miliardarie gli abusi di Tencent, Alibaba e un’altra dozzia di grossi operatori.
Quindi, ha messo nel radar il “bullismo algoritmico”, che consente di trarre vantaggio delle conoscenze sulla attitudine alle spese dei cittadini registrati sulle molteplici piattaforme digitali. La Corte suprema del popolo ha ordinato di mettere fine al “996”, trattasi della pratica delle compagnie hi-tech di far lavorare per sei giorni a settimana dalle 9 del mattino alle 9 di sera il personale, affiché contribuisca all’innovazione continua e forsennata.
Il bando delle criptovalute e la visione politico-sociale di Xi Jinping
Xi Jinping, che ha ereditato il capitalismo statale, avrebbe intenzione di proporre una forma di socialismo più canonica. Detto altrimenti, il segretario generale comunista avrebbe in mente di rimodellare il sistema produttivo e l’individuo. I due nuovi slogan – “Prosperità condivisa” e “Basta con l’espansione disordinata del capitalismo” – nasconderebbero l’idea di controllare e guidare ogni singolo aspetto, cosicché garantisce la stabilità sociale, lo sviluppo armonioso e nessuno abbia l’ardire di porre in discussione la supremazia politica.
L’atteggiamento adoperato è del classico “genitore tigre”, espressione usata in riferimento a quei genitori cinesi fermamente convinti della necessità di non lasciare ai figli nessun margine di scelta sul loro presente e futuro. E Xi coglie qualsiasi opportunità per assicurare la devozione al Partito-Stato pure degli adulti del domani.
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