Si concentrerà presumibilmente sul cuneo fiscale la metà degli 8 miliardi di euro che dovrebbero essere impiegati per tagliare le tasse. Detto altrimenti, il Governo dovrebbe andare ad agire soprattutto sulla somma delle imposte che gravano sul costo del lavoro. Della correzione di 3 punti sull’aliquota del 38 per cento, tuttavia, trarranno godimento esclusivamente i percettori di un reddito superiore ai 28 mila euro lordi l’anno: quelli sotto la suddetta soglia non avranno, al contrario, benefici di nessun genere; quelli fino a 40mila euro avranno aumenti in busta paga di 360 euro, quelli fino a 50 mila di 660, e quelli fino a 75 mila di 810.
Come spiegato da Il Giornale, l’organizzazione dei Paesi più industrializzati aveva già indotto il Belpaese a porre mano sul cuneo fiscale, il quinto più elevato su scala mondiale, nonché un disincentivo a creare nuovi posti di lavoro. Probabilmente con una quota degli 8 miliardi pattuiti si andrà avanti a utilizzare la leva dei “trattamenti integrativi” che già oggi sono inclusi nella busta paga dei dipendenti con reddito fino a 40 mila euro, principali beneficiari della manovra al vaglio.
Aumenti busta paga: le rilevazioni dello studio VEF
Stando alle rilevazioni compiute dallo Studio VEF & Partners SpA di Milano, è, infatti, verosimile che la ‘dote finanziaria’ per il 2022, indirizzata alla riforma del sistema fiscale, verrà in larga parte impiegata, nella prossima legge di bilancio, per la correzione della curva delle aliquote Irpef. Come confermato a La Nazione dal legale Andrea Aliberti, l’aliquota diminuirà del 38 per cento sullo scaglione compreso tra i 28 mila e i 55 mila euro. Del resto – ha commentato – il salto dell’aliquota del 27 per cento dello scaglione precedente al 38 per cento ha sempre ricevuto forti critiche.
A beneficiare dell’intervento in questione saranno unicamente i prestatori d’opera rientranti nel ceto medio ed i datori di lavori, i quali avranno l’onere di anticipare ritenute fiscali di minore importo. Sulla base dei dati diramati dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia e delle Finanze – puntualizza l’esperto – è possibile stimare che, laddove si destinasse poco meno del 50 per cento del tesoretto di 8 miliardi indirizzati alla manovra sull’aliquota del 38 per cento per lo scaglione 28 mila / 55 mila, si riuscirebbe ad abbassarla al 35 per cento.
In tale scenario, un contribuente che guadagna fino a 28 mila euro lordi l’anno non godrebbe di nessuna riduzione, mentre uno che guadagna fino a 50 mila euro avrebbe uno ‘sconto’ del 4 per cento (660 euro) ed uno che guadagna fino a 75 mila euro uno ‘sconto’ del 2,9 per cento (880 euro). Gli importi indicano chiaramente dei vantaggi piuttosto modesti, ma soprattutto gli addetti ai lavori non sono convinti dalla logica alla radice, ossia di preservare la progressività.
Critiche al metodo progressivo
Vittorio Emanuele Falsitta, professore operante presso lo Studio VEF & Partners Spa di Milano, ha le idee chiare in tal proposito. Da lunghi decenni ormai – ha dichiarato – la progressività non costituisce un modo di essere della curva dell’imposizione sui redditi personali. Ecco perché nel sistema vi sono perfino dei luoghi regressivi.
Pretendere, tramite i maggiori criteri direttivi di delega, di preservare qualcosa di inesistente – e dunque comportarsi come se esistesse – gli sembra un esercizio di illusione e non lo comprendono. Inoltre – precisa Falsitta in conclusione –, permane un’aggravante, vale a dire la volontà di ampliare e pietrificare un sistema duale di imposizione fiscale (di capitale con aliquota proporzionale e di lavoro e pensione con aliquota progressiva) che è proprio un motivo dell’impiego sempre meno comune del metodo progressivo.
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