Il diritto al Trattamento di Fine Rapporto (TFR) viene mantenuto pure in caso di assenza ingiustificata del dipendente pubblico poiché l’amministrazione non ha il diritto trattenere alcunché della somma cumulata. Inevitabilmente, l’assegna ingiustificata colloca il dipendente pubblico in una situazione di difetto nei riguardo dell’amministrazione presso cui presta servizio. Tutto l’iter procedurale inerente alle essenze del personale del ramo statale, sia a livello centrale sia a livello pubblico, è infatti regolamentato dal legislatore con rigore. La mancata presentazione sul luogo di lavoro costituisce dunque un inadempimento degli obblighi contrattuali, sottoscritti durante la fase di assunzione.
Il comportamento è talmente visto di cattivo grado che – contratto nazionale della pubblica amministrazione alla mano – è sancita l’applicazione del provvedimento disciplinare del licenziamento qualora il soggetto reo sia assente dal servizio per oltre 3 giorni, anche non continuativi nell’arco di un biennio. Detto ciò, ora è tempo di andare a trattare nello specifico le conseguenze sugli altri istituti del lavoro e in particolare il Trattamento di Fine Rapporto.
Assenza ingiustificata: le conseguenze che un dipendente del servizio deve scontare in merito al Trattamento di Fine Rapporto
Ogni mese, una parte del corrispettivo in busta paga del dipendente pubblico viene trattenuta allo scopo di costituire il TFR. La cifra dell’accantonamento stabilita è pari a una quota del 6,91 per cento della retribuzione annua utile, insieme alle eventuali rivalutazioni. Si tratta di un diritto intoccabile, riconosciuto anche a chi si rende autore di assenza ingiustificata, sicché l’amministrazione pubblica ha le mani legati, ovvero non può operare nessun genere di trattenuta sulla somma.
Comunque sia, all’ente pubblico compete l’onere di applicare il potere disciplinare. Detto altrimenti, ha il compito di definire la sanzione più congrua alla situazione, a cominciare dal semplice ammonimento verbale. Difatti, può bastare una semplice chiamata all’ordinare per porre il dipendente al corrente che un comportamento del genere non è accettabile e che le assenze vanno necessariamente giustificate, onde evitare di incappare in misure disciplinari ben peggiori. Le circostanze possono aiutare a orientarsi sul processo.
Indipendentemente da ciò, il licenziamento è comunque disposto per assenza priva di comprovata giustificazione per un totale di giorno, pure non continuativo, superiore a 3 nell’arco di due anni o a 7 giorni nel corso dell’ultimo decennio ovvero mancata ripresa del servizio, in caso di assenza ingiustificata, entro il limite temporale delineato dall’amministrazione facente capo.
La corretta interpretazione
Laddove il dipendente eviti di presentarsi presso il luogo di lavoro, l’iter decisionale dell’ente pubblico non dovrebbe agire mosso dalla fretta. In primo luogo, ha il compito di raccogliere informazioni sulla situazione e determinate se l’assenza non trovi effettiva giustificazione. Ad esempio, è possibile che una ragione fondata sussista, ma che il prestatore d’opera non abbia avuto maniera di inoltrare una relativa prova. Esso è vero soprattutto in caso di congedo per malattia.
Allo stesso modo, il dipendente potrebbe essere stato, suo malgrado, vittima di un infortunio sul lavoro o di un incidente in itinere. La ricerca di chiarimenti consente di contestualizzare la vicenda. Le possibili ragioni alla base sono di vario tipo, come:
- malattia;
- problemi familiari;
- mobbing sul lavoro;
- stress sul lavoro.
Dopo aver acclarato che l’assenza del soggetto sia ingiustificata, ci sono gli estremi per spedirgli una diffida affinché fornisca i motivi.
La diffida equivale, nella sua prospettiva, a un’ingiunzione per le delucidazioni in oggetto. Nella lettera il committente ha il permesso di segnalare le carenze rilevate e porre il prestatore d’opera al corrente del fatto che rischia una sanzione, qualora eviti di pronunciarsi. Se pure in seguito alla missiva non dà delucidazione, è sempre possibile trasmettere una seconda diffida.
Per concludere, evidenziamo come l’assenza ingiustificata del dipendente pubblico non costituisca espressione della volontà di rassegnare le dimissioni.
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